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Turnover di dipendenti e collaboratori: un accidente ineluttabile?
Penso di non esagerare se affermo che ogni volta che si parla come motivare e coinvolgere il proprio team, investendo nelle relazioni e nella formazione, salta fuori l’obiezione: “Sì, sarebbe bello, ma se poi dopo tutto quello che abbiamo fatto per loro, prendono e se ne vanno?”.
So benissimo come ci si sente, quando qualcuno del nostro team, su cui avevamo investito con generosità, decide di andare per la sua strada: nel migliore dei casi ci si sente “traditi”, nel peggiore si fantastica che l’ingrato dipendente si penta amaramente di averci lasciato e torni sui suoi passi, una versione lavorativa della parabola del figliol prodigo 😅

Ebbene, nella vita reale non funziona così, ma al contrario il turnover porta con sé molte conseguenze negative, di cui elenchiamo solo le principali:
- si perde tutto l’investimento fatto per la formazione e occorre ricominciare da capo con chi arriva dopo, ma l’entusiasmo è frenato dalla recente scottatura e dallo scoraggiamento di dover ricominciare nuovamente, investendo tempo e risorse, senza alcuna garanzia di successo e di successo a lungo termine
- il morale del team cala, perché oltre alle conseguenze professionali, spesso ci sono anche dei rapporti umani che vengono inevitabilmente compromessi o comunque almeno complicati
- agli occhi della clientela, vedere sempre facce nuove non giova alla fidelizzazione e comunque inserire nuove risorse, almeno in un primo periodo, potrebbe creare difficoltà nel mantenere alta la qualità del servizio
Molti datori di lavoro sono rassegnati a subire la perdita di collaboratori e dipendenti: la convinzione che non si possa fare nulla è alimentata però dall’ignoranza e a sua volta innesca un circolo vizioso che solo la conoscenza può interrompere.
La buona notizia è che esistono due tipi di turnover, quello che si subisce e quello che si governa: il primo è quello dannoso, da ridurre al minimo (non è possibile eliminarlo del tutto, ma si può arrivare a una percentuale di rischio trascurabile), mentre il secondo è addirittura desiderabile, a patto che si sappia esattamente come procedere per incentivarlo.

Veniamo dunque a distinguere le principali teorie di gestione delle risorse umane (volutamente estremizzate, parlando di PERSONE in mezzo ci sono tutte le sfumature possibili):
- affidare a collaboratori e dipendenti solo compiti di bassa complessità, protocollando tutto e impostando un sistema di controllo rigoroso per evitare errori (premio-punizione, magari un po’ più sbilanciato sulla seconda). VANTAGGI: poco investimento sulla formazione, non è necessaria una selezione accurata (basta che siano persone disposte a lavorare sodo, desiderose di “farsi le ossa”, meglio se giovani e squattrinate, che hanno bisogno di lavorare), basso costo di retribuzione. SVANTAGGI: team di mercenari, i più talentuosi saranno pronti a cogliere le migliori opportunità appena avranno accumulato la necessaria esperienza e/o avranno preso consapevolezza e/o si saranno stufati di essere “sfruttati”, i peggiori invece rimarranno rassegnati e poco motivati perché non pensano di poter trovare di meglio
- selezionare accuratamente le persone da inserire nel team, investendo nella loro formazione e crescita, professionale e umana, coinvolgendoli nella squadra mediante la condivisione di valori aziendali forti e ben riconoscibili già in fase di reclutamento. VANTAGGI: il valore creato per l’intero team da ogni membro cresce quotidianamente, ma soprattutto aumentano l’autonomia e la responsabilità di ognuno, che si sente coinvolto nel dare un proprio contributo alla selezione, formazione e motivazione dei colleghi. SVANTAGGI: alti costi di retribuzione (non all’inizio) e di formazione, non solo tecnica (questi già all’inizio, crescono con il tempo)
Nel primo caso il turnover è difficilmente governabile, perché è insito nelle politiche di assunzione e di gestione del personale: molti datori di lavoro non hanno un occhio sufficientemente critico per individuare nel loro comportamento questo modello, anzi paradossalmente quelli che lo adottano pensano che siano i dipendenti a essere ingrati, ritenendo che il solo fatto di retribuirli equivalga a “comprarli”, una moderna forma di servitù della gleba: poteva funzionare nel MedioEvo, quando chi nasceva “servo” non poteva sottrarsi a questa condizione, ma è ovvio che non può più funzionare in un mondo in cui le nuove generazioni cercano nel posto di lavoro non solamente più un mezzo di sostentamento, ma anche una opportunità di realizzazione professionale e personale.
Nel secondo caso gli stessi membri del team, in maggioranza coinvolti e fidelizzati all’azienda, opereranno autonomamente per abbattere il turnover “negativo” e questo sarà limitato solo a coloro che sono stati assunti per un errore di selezione (anche in questo caso, è possibile ridurli al minimo, ma non eliminarli del tutto) e che quindi, non condividendo i valori aziendali, saranno spinti ad abbandonare il team: questo specifico turnover deve essere incentivato, perché permette di liberare posti per nuove persone maggiormente in linea con i valori e desiderose di crescere e creare valore con e per il team.
Concludo con un aforisma: “Non chiederti quanto ti costa avere dipendenti formati e motivati che potrebbero andarsene dall’azienda; chiediti quanto ti costa avere dipendenti non formati e demotivati che rimangono in azienda…”
Dalla teoria alla pratica…
Come fare per mettere in pratica il secondo modello, allontanandosi dal primo?
Potete leggere questi articoli gratuiti:
https://www.leadersheep.blog/delega-o-sfruttamento/
https://www.leadersheep.blog/perche-leadersheep-blog/
https://www.leadersheep.blog/creare-valore-con-i-valori/
o se volete approfondire con un corso completo sull’argomento (pensato per lo studio odontoiatrico, ma si adatta a qualsiasi realtà):
