L'arte della delega: panacea universale?

Il sogno di ogni titolare è potersi recare al lavoro per svolgere solo le attività che lo gratificano, delegando il resto ai propri collaboratori: responsabili e motivati, votati al lavoro come se l'azienda fosse loro, permettono al capo di essere più produttivo e, perché no, di ricavare in questo modo tempo libero da dedicare alla famiglia e ai propri interessi.

Sembra talmente bello da dubitare che possa essere realizzabile e in effetti molti titolari sono convinti si tratti di una chimera: osservando i propri dipendenti, spesso notano mancanza di iniziativa e flessibilità nell'adattarsi ai carichi di lavoro, quando non vi siano addirittura indolenza o lamentele, poca motivazione e scarso senso di responsabilità nel curare i beni aziendali e i clienti. Di fronte a questi scenari, molti imprenditori si rassegnano a considerare i propri collaboratori alla stregua di "mercenari", che prestano controvoglia il loro tempo per fare il minimo indispensabile a garantire loro di poter mantenere il posto di lavoro.

Eppure esistono realtà in cui il team è compatto, motivato, in cui tutti lavorano per offrire il loro contributo attivo e personale, per sentirsi parte di una "squadra che vince", gratificati dal proprio ruolo e, anzi, tesi nell'ampliare le proprie responsabilità e crescere professionalmente insieme all'azienda.

Nella promessa di far ottenere questo "paradiso aziendale" si sono disboscate foreste per libri più o meno inutili, consulenti improvvisati forse ancor più inutili dei libri e, non potevano mancare, fantastici corsi che a modico prezzo in pochi giorni insegnano l'arte della delega, vera ed unica soluzione a ogni problema:

1) i collaboratori che ricevono la delega di qualche compito che prima svolgeva il titolare si sentono investiti di una grande responsabilità e depositari della sua fiducia : il loro coinvolgimento aumenterò fino a trasformarli in "mini-titolari" che lavoreranno felici come se l'azienda fosse loro, rendendo ricco e felice il titolare 🤩

2) delegando ai propri collaboratori, il titolare libera il suo tempo, che può impiegare per attività più redditizie o anche solo per "tirare il fiato" e ritagliarsi tempo libero, un lusso che al giorno d'oggi assume sempre maggior valore. Diciamoci la verità, chi è che non vorrebbe lavorare meno e guadagnare di più, grazie a una squadra che permette al titolare di eccellere in quanto ama e sa fare meglio? E' veramente l'uovo di Colombo!

Tutto risolto! Non era neppure difficile... PECCATO che se si osserva bene l'uovo, è incrinato alla base: è vero che questo gli permette di stare ritto in piedi, ma le sue fondamenta non sono così stabili come appaiono grazie al comprensibile entusiasmo iniziale.

Delegare è davvero un'arte e, come tutte le arti, non si apprende per corrispondenza... se la delega non è sostenuta da una cultura aziendale con valori forti e condivisi, introdurre questa pratica funziona in pochi casi:

1) il caso più fortunato, in cui il dipendente è responsabile e coinvolto DI SUO; in questo caso è come aver trovato una pepita d'oro, tanto rara quanto preziosa, perché tutto quanto viene delegato verrà eseguito con il massimo impegno, anzi ci saranno proposte proattive e iniziative di successo che renderanno il titolare più che soddisfatto; purtroppo (o per fortuna) questo tipo di dipendenti solitamente cerca un ambiente di lavoro con una cultura aziendale improntata a solidi valori, per cui è facile che cambi se non li trova;

2) il caso meno fortunato, in cui tutto sembra funzionare meglio finché dura la novità e poi, "inspiegabilmente", i problemi ritornano: i dipendenti a cui si erano delegati compiti importanti non li svolgono come farebbe il titolare, nè dal punto di vista dell'impegno e tanto meno dei risultati, commettono errori per distrazione e dimenticanza, alcuni a dispetto di premi e promozioni si "imboscano" preferendo la "vita comoda del "bollacartellino" a cui cadono le mani allo scadere dell'orario o al contrario si prestano a lavorare a lungo e con molti straordinari, ma solo per aumentare il loro stipendio e non perché realmente coinvolti.

Ed ecco che allo scoccare della mezzanotte (quando arrivano i primi conflitti e problemi aziendali), la carrozza scintillante si ritrasforma in quella zucca vuota che era fin dall'inizio...

Eppure al corso ci avevano mostrato tutti belli indaffarati, pronti a scattare per l'entrata in scena del titolare "eroe" che, inforcati i suoi guanti magici, inizia a operare in batteria e fatturare come se non ci fosse un domani, pronto a saltare sulla sua fuoriserie per ritirarsi nel suo rifugio dorato fino alla prossima entrata in scena.

Non è raro che uomini di grande successo negli affari non lo siano poi altrettanto nelle relazioni, tanto da rifugiarsi in una visione cinica: "Non c'è più nessuno che abbia voglia di impegnarsi come ho fatto io... ormai sono tutti smidollati... con tutto quanto faccio per loro, neanche un po' di gratitudine...", concentrandosi sull'essere leader sul lavoro, magari anche per compensare l'inammissibile fallimento della loro leadership interna.

E' una storia vecchia come il mondo: quando ci sono problemi interni, si concentra l'attenzione su un nemico esterno o, in senso positivo, su un obiettivo ambizioso. Lo stesso avviene nelle aziende: il "leader maximo" proclama i grandi successi del suo team, ma in realtà come ogni leader autoritario usa le altre persone per raggiungere i PROPRI obiettivi, concedendo di grazia un po' di luce riflessa a coloro che l'hanno reso possibile.

La differenza cruciale fra delega e sfruttamento

La spiegazione del perché delegare non è sufficiente a creare un team coeso e motivato (anche se spesso permette di ottenere importanti risultati sotto il profilo pratico, con gli indubbi vantaggi di cui abbiamo parlato all'inizio) è che spesso si confonde lo sfruttamento con la delega commettendo il comunissimo errore di sottovalutare i termini con cui si definiscono le cose e il fatto che non possono, da soli, a cambiare la realtà dei fatti.

Cultura di sfruttamento

Nessuno ammetterebbe mai apertamente di avere impostato la propria azienda su una cultura di sfruttamento, per ovvi motivi; tuttavia, questa modalità è in assoluto la più diffusa, anche senza malafede da parte dei titolari, per il solo fatto che risponde immediato ai loro interessi e questo non è certo illecito: assumere collaboratori/dipendenti e delegare le attività sgradite e/o meno gratificanti e/o meno redditizie è il modo più semplice per liberare tempo del titolare per attività più desiderabili e/o per lavorare meno tempo e/o aumentare la produttività; in parole semplici, per far lavorare altri al proprio posto in cambio di uno stipendio che certamente sarà minore del costo orario del titolare e quindi permetterà un maggiore utile, oltre appunto a permettere la crescita e lo sviluppo dell'attività, potendo il titolare focalizzare le proprie competenze sui ruoli ad alto valore aggiunto.

Questa scelta è più che lecita e funzionale (do per scontato che i collaboratori vengano retribuiti in modo corretto per il tempo e le competenze messe a disposizione dell'azienda), tuttavia relegare i collaboratori all'esecuzione delle attività a basso valore, senza strutturare un  percorso di crescita costante che permetta loro di assumere maggiori responsabilità e di conseguenza anche maggiori remunerazione economica (intendo non solo come piccoli aumenti, ma l'opportunità di arrivare anche a totali annui lordi vicini a quelli dei titolari) può alla lunga avere l'effetto di demotivare le migliori risorse e causare un turnover difficilmente gestibile.

Selezione del personale e turnover
Molti credono che un elevato turnover del personale sia una ineluttabile necessità: una corretta selezione, ma soprattutto una cultura aziendale improntata a solidi valori può ribaltare la situazione!
Un articolo per capire perché i talenti migliori abbandonano le aziende e cambiano lavoro

Il fatto di pagare qualcuno per un lavoro non implica avere "acquistato" (uso il termine nel suo duplice significato di "comprare" e di "ottenere") il suo coinvolgimento, al contrario spesso significa solo avere "noleggiato" il suo tempo fino a che gli interessi convergeranno o ci saranno offerte migliori: d'altronde se il titolare cura i propri interessi, perché non dovrebbe curarli anche il collaboratore o il dipendente?

Anche in termini di orario lavorativo, spesso il sogno del titolare è avere un'attività che funziona 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana, festivi compresi, in modo da ottimizzare il suo investimento e sfruttarne (questo è il termine, guarda caso) al massimo la capacità produttiva; anche in questo caso, nulla di illecito nello studiare turni e richiedere straordinari a chi è disposto a farli, magari per incrementare il proprio stipendio. Tuttavia, alla lunga aumentare le ore di lavoro produce stanchezza e demotivazione, perché un dipendente intelligente si accorge presto che, per quante ore possa lavorare, anche se giovane, fresco, pieno di energia, buona volontà e "olio di gomito" (come si dice dalle nostre parti) prima o poi raggiunge un tetto e l'incremento dello stipendio non compensa i sacrifici a livello di legami familiari, tempo libero...

Non è infine da sottovalutare un grave problema nella leadership, spesso sottovalutato: se come titolare pretendo dai dipendenti che siano disposti a lavorare tante ore la settimana MA allo stesso tempo il mio obiettivo dichiarato è fare in modo di ottimizzare il mio tempo per lavorare il meno possibile aumentando però i guadagni, la palese incoerenza fra ciò che si chiede agli altri e ciò che desidero per sè mina alla base la credibilità del leader nel prendersi cura del proprio team. Al di là degli sbandierati "successi del team", non ci vuole molto a rendersi conto che il titolare ha a cuore più i propri interessi che quelli delle persone che gli stanno accanto e che il team è visto come mezzo e non come fine: raggiungere gli obiettivi del titolare, anche a scapito del benessere del team, diventa prioritario; come si può pensare che le persone che ne fanno parte saranno profondamente coinvolte e motivate?

Il titolare si trova quindi circondato da un esercito di mercenari: quanto meglio sarà stato capace di selezionarli, tanto meno problemi ci saranno, ma ci saranno, SICURAMENTE; in un'ottica di sfruttamento, questo non crea difficoltà insormontabili, d'altronde il titolare è convinto che fuori ci sia la fila (e magari ha anche ragione), perciò trovandosi in una posizione di forza (altri userebbero termini meno eleganti 🤣) accetta il turnover come una ineluttabile necessità ed effettivamente con questo tipo di impostazione lo è.

Cultura della delega

L'impostazione che abbiamo scelto per la nostra azienda è radicalmente diversa: non sarei onesto ad affermare che l'abbiamo capito fin da subito, anzi devo ammettere che inizialmente siamo stati affascinati dal modello di sfruttamento e, pur con le migliori intenzioni, ne abbiamo applicato diverse sfaccettature, con risultati eccellenti.

Abbiamo poi compreso i nostri errori nel momento in cui, riflettendo sulla nostra organizzazione, siamo passati da una leadership autoritaria (in cui il titolare "assegna" i ruoli in un'ottica di sfruttamento, cosa ben diversa dalla delega) a una autorevole (in cui il titolare si pone come esempio, anche morale e non solo "tecnico", per creare una cultura aziendale basata su valori condivisi), per poi giungere alla fine di un percorso durato anni a una leadership di servizio (che questo blog vuole condividere e diffondere).

Leadersheep, un nuovo stile di leadership di servizio
Leadersheep è un nuovo concetto di leadership di servizio, che si basa sull’evoluzione e l’integrazione degli stili più innovativi.

Si intende dunque per cultura della delega una impostazione aziendale in cui i collaboratori sono parte di un team, in cui il leader è al servizio della crescita di ciascuno e si mette a disposizione per insegnare le proprie competenze allo scopo di permettere a tutti di acquisire nuovi ruoli direttamente dal leader, il quale a sua volta condivide la sua leadership di servizio con coloro che ha formato e che a loro volta la condivideranno con i nuovi arrivati.

Con questa impostazione, il team si autoseleziona, scartando a priori i mercenari: inizialmente infatti, finché il nuovo arrivato non ha dimostrato di poter apportare un contributo di valore al team, ma soprattutto di desiderare fortemente integrarsi, riceve il minimo di legge sia per quanto riguarda la retribuzione, sia per ogni altro tipo di benefit (orario, premi, formazione...). Chi invece sposa la cultura aziendale, ne condivide i valori e contribuisce attivamente impegnandosi per crescere e trovare i ruoli in cui può offrire un contributo di valore, viene coinvolto in percorsi di formazione personale e tecnica, diventando a sua volta parte del team, fidelizzandosi e godendo di ciò che il team ha saputo creare e far crescere giorno dopo giorno.

Questo tipo di impostazione è molto esigente, richiede una scala di valori che consideri fatturato e profitto solo mezzi per raggiungere obiettivi più elevati, quali la coesione del team e la distribuzione del valore creato a vantaggio dell'intero team, non solo e non soprattutto a livello economico.

Conseguentemente dal punto di vista aziendale presenta costi maggiori sul piano economico, di tempo e soprattutto a livello emotivo, perché richiede di interessarsi alle persone PRIMA che al loro ruolo di lavoratori e soprattutto richiede ai leader di essere un esempio: se a tutti fa piacere lavorare meno e guadagnare di più, nella cultura della delega si troveranno soluzioni creative per incrementare la produttività generale, in modo da poter redistribuire ricchezza e valore su tutto il team; se a tutti fa piacere crescere e occuparsi delle mansioni con maggiore valore e responsabilità, si troverà il modo di crescere insieme, per lasciare posto a chi entra senza penalizzare, anzi creando vantaggi per chi ha delegato parte dei propri ruoli.

Photo by Caleb Jones / Unsplash

È una questione di scelte

Acquisita la consapevolezza di questi due modelli (che per esigenza didascalica ho estremizzato), occorre operare una scelta in relazione a ciò che, secondo la propria scala di valori, viene prima:

  • profitto e soddisfazione del titolare: la cultura dello sfruttamento è il modello più semplice e immediato da attuare, perché permette di riservare al titolare tutte le attività più redditizie, demandando tutto ciò per cui occorre tempo, ma che non produce valore economico. ✅ I pro sono relativi all'ottimizzazione dei costi in relazione all'aumento della produttività e alla semplicità del modello (che risulta comunque molto più avanzato del modello ancora più diffuso, quello in cui il titolare è "collo di bottiglia" della propria attività ed esegue tutto in prima persona), ⚠️ i contro sono relativi a un forte e difficilmente governabile turnover del personale, legato al basso tasso di coinvolgimento nell'azienda da parte di collaboratori e dipendenti, nonché a tutti i conflitti (manifesti o latenti) collegati;
  • benessere del team: come tutto quello che vale, individuare valori condivisi e mantenervisi fedeli quotidianamente costa, soprattutto quando si rendono necessari dei cambiamenti per allinearsi agli obiettivi comuni. In questo contesto, la cultura della delega è imprescindibile, così come le opportunità di formazione aperte a tutti coloro che dimostrano di voler far parte del team ed essere disposti a lavorare prima per la comunità in cui sono inseriti che per se stessi, a partire dai leader e dal titolare. ✅ I pro sono relativi al clima aziendale, alla fidelizzazione e lealtà del team, al bassissimo (quasi nullo) turnover di dipendenti e collaboratori che hanno superato il percorso di integrazione, al valore che si crea non solo per il titolare, ma anche per chi gli sta attorno e per l'intera comunità in cui l'azienda è inserita. ⚠️ I contro sono relativi alla maggiore complessità del modello, alla necessità di una selezione molto attenta e scupolosa del team, oltre a un lavoro costante di formazione e miglioramento della cultura aziendale, che presenta costi non trascurabili in termini economici, organizzativi e personali.

C'è una via di mezzo per integrare entrambi i modelli?

Alcuni potrebbero pensare che ci sia una terza via, quella di remunerare bene i collaboratori a cui vengono assegnate le attività a basso valore: se però si applicano i principi prima esposti, si capisce che è solo una forma raffinata di sfruttamento, in cui si tengono legati a sé mediante una migliore retribuzione e/o benefit coloro che hanno migliori prestazioni, nel timore che possano "guardarsi intorno"; il fatto stesso che vi sia questo timore, dimostra che collaboratori e dipendenti di valore non sono fidelizzati all'azienda e al titolare. Sono facce della stessa medaglia il cliente che sceglie un servizio in base al prezzo e il dipendente che rimane in azienda per la retribuzione: alla lunga dove mancano i valori, mancherà anche il valore.

Per quanto ci si possa sforzare a propagandare quello che si vorrebbe diventasse realtà, solo mettendo in atto esempi concreti di coerenza con i valori desiderati è possibile ottenere una genuina cultura della delega: la leadership di servizio non si può simulare, perché richiede un sacrificio concreto in vista di un bene comune e di un valore creato dall'intero team per l'intero team.
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